RINTOCCHI DI CAMPANE

Pubblicato giorno 4 novembre 2018 - Eventi

Per chi suona la campana?

4 novembre 1918, cento anni fa. La fine della guerra, la prima guerra mondiale.

La cronaca de L’Eco di Bergamo di quella data annotava: “Alle 16 precise, la città tutta echeggiava dei festosi concerti del campanone municipale e di tutte le campane della città”.

La “campana” del centenario giunge oggi a svegliare le coscienze, accompagnando il forte monito di Papa Francesco: “abbiamo ancora bisogno oggi di pace… siamo nella terza guerra mondiale, che si combatte a pezzetti, a capitoli”.

Il 14 settembre 2014, nel centenario dell’inizio della prima guerra mondiale, al sacrario militare di Redipuglia che custodisce le spoglie di oltre 100.000 soldati italiani caduti durante la prima guerra mondiale, nell’omelia Papa Francesco ha così riflettuto:

“Mentre Dio porta avanti la sua creazione, e noi uomini siamo chiamati a collaborare alla sua opera, la guerra distrugge. Distrugge anche ciò che Dio ha creato di più bello: l’essere umano. La guerra stravolge tutto, anche il legame tra fratelli. La guerra è folle! La cupidigia, l’intolleranza, l’ambizione sono motivi che spingono la risposta di Caino: “A me che importa del mio fratello? A me che importa?”, «Sono forse io il custode di mio fratello?» (Gen 4,9): è il motto beffardo della guerra: “A me che importa?”. Anche oggi, pure dopo il secondo fallimento di un’altra guerra mondiale, si può parlare di una terza guerra combattuta “a pezzi”, con crimini, massacri, distruzioni. Con cuore di figlio, di fratello, di padre, chiedo a tutti voi e per tutti noi la conversione del cuore: cioè il passare da “a me che importa?”, al pianto per tutte le vittime di ogni “inutile strage”, in ogni tempo”. E in seguito ha aggiunto: “La nostra risposta a questo mondo di guerra ha un nome: si chiama fraternità, si chiama comunione, si chiama famiglia, si chiama accoglienza”.

Un rintocco che fa correre la mente e il cuore alla “pacem in terris” del Santo Papa Giovanni XXIII di cui proprio in questi giorni si celebrano i 60 anni dell’elezione a Pontefice (28 ottobre 1958). Attuali nella lettura dei “segni dei tempi” per costruire un “nuovo ordine di rapporti umani” sono i quattro pilastri della pace che lui indica: la ricerca della verità, la pratica della libertà, un’economia di giustizia, la forza dell’amore.

Gli farà eco Papa Paolo VI, da pochi giorni proclamato Santo, che nel primo discorso di un Papa all’ONU (4 ottobre 1965) dirà con coraggio: “Voi attendete da noi questa parola, che non può svestirsi di gravità e di solennità: non gli uni contro gli altri, non più, non mai! Contro la guerra e per la pace! Ascoltate le chiare parole d’un grande scomparso, di John Kennedy, che quattro anni or sono proclamava: “L’umanità deve porre fine alla guerra o la guerra porrà fine all’umanità”. Non occorrono molte parole per proclamare questo sommo fine di questa istituzione. Basta ricordare che il sangue di milioni di uomini e innumerevoli e inaudite sofferenze, inutili stragi e formidabili rovine sanciscono il patto che vi unisce, con un giuramento che deve cambiare la storia futura del mondo: non più la guerra, non più la guerra! La pace deve guidare le sorti dei Popoli e dell’intera umanità!”.

I rintocchi di questo centenario ricordino quanto il Concilio Vaticano II ci consegna come responsabilità: la pace è “un edificio da costruirsi continuamente con mentalità completamente nuova” (Gaudium et spes, 78 e 80). Un cantiere composto da mille atti quotidiani. Qui e ora.