Siamo vicini all’appuntamento delle elezioni Amministrative ed Europee. Il Gruppo della Terra esistenziale della cittadinanza della CET 10 (Scanzo-Seriate)invia a tutti i candidati delle Amministrative, alcuni stralci dell’omelia che il Metropolita della Lombardia, Sua Ecc. Mons. Mario Delpini, ha rivolto alle autorità cittadine di Milano nel 2017, in occasione della solennità di S. Ambrogio. Vuole essere prima di tutto un modo per esprimerle gratitudine per la sua disponibilità, indipendentemente dal risultato elettivo, e per raccontarle alcuni aspetti che ci stanno a cuore in vista del “buon governo”. Se sarà eletto saremo disponibili per confrontarci sulle possibili collaborazioni, nell’evidente e naturale rispetto delle reciproche specificità.
L’arte del buon governo
Elogio dei rappresentanti delle istituzioni dediti alla prossimità Ispirato dalla vicenda della acclamazione di S. Ambrogio voglio fare l’elogio delle istituzioni che oggi, come allora, si fanno carico della promozione del bene comune, della pace sociale e della promozione di una convivenza civile serena. Contro la tendenza diffusa a lamentarsi sempre di tutto e di tutti, contro quella seminagione amara di scontento che diffonde scetticismo, risentimento e disprezzo, che si abitua a giudizi sommari e a condanne perentorie e getta discredito sulle istituzioni e sugli uomini e le donne che vi ricoprono ruoli di responsabilità, voglio fare l’elogio delle istituzioni. Voglio fare l’elogio dei sindaci: sono, specie nei paesi e nelle cittadine, la prossimità più accessibile della pubblica amministrazione. I sindaci sono esposti alle attese e alle pretese di tutti, sono spesso oggetto di polemiche e di denunce, sono spesso intrappolati in una burocrazia complicata, sono condizionati da una cronica mancanza di risorse: però, se sono onesti e dediti, i sindaci sono là, tra la gente, in ascolto di tutti, con il desiderio di rendersi utili, con la frustrazione di essere spesso criticati e di riconoscersi impotenti. Però sono là, in mezzo alla gente. Voglio fare l’elogio delle forze dell’ordine… Voglio fare l’elogio degli insegnanti e dei dirigenti scolastici e del personale della scuola… Voglio fare l’elogio degli operatori nei presìdi sanitari e nei servizi sociosanitari domiciliari (come l’assistenza domestica, l’assistenza domiciliare integrata e le cure palliative a casa), dei vigili del fuoco, della protezione civile, delle istituzioni presenti nei diversi territori a livello provinciale e regionale, dalle montagne alla pianura… L’elenco dovrebbe prolungarsi nell’elogio di tante altre istituzioni presenti capillarmente nel territorio… Non posso non ricordare le tante associazioni e strutture cooperative che creano una rete di attenzione e solidarietà spesso poco notata ma essenziale nel creare coesione e nel dare spessore alla trama dei legami. Di tutti voglio fare l’elogio, a tutti desidero esprimere la mia gratitudine e ammirazione, contrastando quella tendenza troppo facile alla critica e quell’enfasi troppo sproporzionata su alcuni che, approfittando della loro posizione, hanno cercato il proprio vantaggio, anche con mezzi illeciti, aprendo la porta alla corruzione… Ogni mattino noi ci rendiamo conto che il paese, la città funzionano, possiamo fare affidamento su servizi perché c’è una folla di persone che fanno di giorno e di notte il proprio dovere, a beneficio di tutti: nessuno è perfetto e tutto si può e si deve migliorare, ma noi sappiamo che possiamo contare su gente che ha lavorato e lavora bene, per noi….
La proposta di un’alleanza per costruire il buon vicinato
L’elogio formulato con rispetto e discrezione esprime anche l’intenzione… di proporre un’alleanza, di convocare tutti per mettere mano all’impresa di edificare in tutta la nostra terra quel buon vicinato che rassicura, che rasserena, che rende desiderabile la convivenza dei molti e dei diversi, per cultura, ceto sociale e religione… L’alleanza che propongo chiama a una specifica responsabilità la Chiesa… e le istituzioni pubbliche. Le Chiese e le confessioni… le religioni che ormai abitano le nostre terre e intendono portare il loro contributo alla costruzione della città del domani si inseriscono con naturalezza in questa alleanza, secondo la tradizione che, grazie a Dio, si è consolidata nella nostra terra. Ci chiediamo insieme: quale esercizio delle responsabilità delle istituzioni, quale esercizio del ministero pastorale possono favorire quello stile del convivere che chiamiamo “buon vicinato”? L’alleanza che propongo non è un impegno che riguarda le istituzioni come fossero delegate a tenere insieme gli abitanti di queste terre, è piuttosto una impresa comune di cittadini e istituzioni, di fedeli e pastori della comunità cristiana e delle altre religioni: è una impresa corale che riconosce il contributo di ciascuno e chiede a ciascuno di non vivere la città come servizi da sfruttare o pericoli da temere, ma come vocazione a creare legami…
Il presupposto per l’arte del buon vicinato
Abitare nello stesso territorio o addirittura nello stesso condominio non garantisce circa la predisposizione ad essere “buoni vicini”. E’ necessario che sia condivisa la persuasione che il legame sociale, la cura di sé, della propria famiglia, della gente che sta intorno è la condizione per la vivibilità, la sopravvivenza, lo sviluppo mio e della società. Vivere vicini può essere anche una spiacevole coincidenza. Invece noi siamo convinti che dare vita alla città sia l’esito di una visione del mondo e dell’interpretazione della vocazione dell’uomo. La vita condivisa, nel piccolo villaggio come nella città, dimostra che la libertà può essere organizzata in una forma comunitaria ragionevole, che la comunità è meglio della solitudine, che la legge è meglio dell’arbitrio, che la fraternità non è qualche cosa che accade meccanicamente, ma chiede una decisione che organizza la società in modo che agli eguali sia consentito essere diversi… Il tema e la sua pratica risultano urgenti per chi si prende cura del bene comune di oggi e di domani: si tratta infatti di contrastare la tendenza individualistica di cui si è ammalata la nostra società. L’individualismo egocentrico ha radici lontane e una forza persuasiva e pervasiva impressionante, alimentata da enormi interessi. È infatti evidente che chi è solo è più debole e più facilmente manipolabile, anche se pensa di essere più tranquillo: ridurre le persone a individui, rendere labili i rapporti, fragili le famiglie, instabili gli affetti, isolate le persone induce i cittadini a ignorare la città, a preoccuparsi solo di sé, del proprio benessere, della propria sicurezza. Le persone diventano clienti, i loro bisogni cercano soddisfazione nei consumi, le
sicurezze si identificano con l’accumulo, lo sguardo sul futuro è miope e la responsabilità un fastidio da evitare. Gli indici per misurare il tempo che si vive si riducono agli aspetti economico-finanziari e la notizia più importante della giornata è l’andamento della borsa. La società è così esposta al rischio di essere sterile, senza bambini e senza futuro, e le persone isolate, senza famiglia e senza comunità. In tale prospettiva anche le garanzie proprie delle libertà sostanziali e non solo formali (cfr. l’art. 3 della Costituzione della Repubblica), che hanno istituito e costruito, attraverso le politiche sociali, lo stato sociale (il cosiddetto welfare state), chiedono oggi di ridefinirlo e di riscriverlo quale welfare relazionale, comunitario, generativo e rigenerativo… Si tratta di dare attuazione all’antica saggezza dell’art. 2 della Costituzione («La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale»).
Il compito delle istituzioni per la pratica del buon vicinato
Si tratta infatti di chiedersi: quali case meritano di essere costruite? Quali infrastrutture sono prioritarie? Quale gestione degli spazi, del verde, dei servizi deve essere perseguita? Quali servizi alla persona (educativi, sociali, sociosanitari e sanitari) devono essere garantiti (per tutta la vita e per la vita di tutti)? Come favorire tra le strutture abitative luoghi di incontro e di condivisione tra persone e tra famiglie? Quale politica urbanistica deve essere progettata per favorire una migliore integrazione tra le diverse fasce della popolazione, evitando la nascita di ghetti e zone di segregazione? Quale gestione e promozione dello sviluppo del commercio va sostenuta, per non perdere il capitale sociale rappresentato dai negozi di quartiere? In che modo immaginare il disegno della città e delle periferie, per rendere lo spazio non solo abitabile ma anche bello e capace di comunicare armonia e serenità? Come favorire lo sviluppo di relazioni e di legami, incrementando in questo modo il grado di sicurezza delle persone che vivono in quel quartiere, non delegando questo compito alle sole forze dell’ordine? Come diffondere e far crescere tra gli abitanti la voglia di conoscere la storia dei luoghi, di condividere la festa, di nutrire la memoria comune, di sentirsi sempre più un popolo e una comunità? I disagi che soffrono coloro che vivono su questa nostra terra devono essere riconosciuti, interpretati, rimediati: le istituzioni sono chiamate a impegnarsi per ascoltare le paure, comprenderne le ragioni e sradicarle, per contrastare lo squallore e curare l’ordine e la bellezza di ogni angolo di città e paesi, ricchi di storia, sorprendenti per i tesori che custodiscono, generosi nella solidarietà, intraprendenti nella famosa efficienza milanese… Quello che manca non si può procurare improvvisamente, quello che è difficile non si può risolvere facilmente, ma gli amministratori sapienti devono mettere in agenda senza esitare i problemi che incombono: le case; le solitudini degli anziani; la resa di giovani e giovanissimi alle dipendenze, all’inconcludenza, al disimpegno senza speranza; lo smarrimento di chi non sa dove andare, non sa prendersi cura di sé; la fragilità dei legami familiari; la denatalità diffusa; la ricerca ossessiva del profitto che snatura le politiche urbanistiche; la rimozione e la censura della grave sofferenza psichica ed esistenziale; la vulnerabilità dei malati cronici, soprattutto nella stagione della progressione e/o nella fase degenerativa della malattia. Le istituzioni, tutte le istituzioni, sono chiamate ad allearsi per favorire quello sviluppo dei legami sociali che fanno dell’alveare degli eremiti la casa comune. Noi, comunità cristiane, noi uomini e donne di Chiesa, ci sentiamo per vocazione protagonisti in questa promozione del buon vicinato. La capillare presenza delle parrocchie, gli oratori, le scuole, le associazioni, i movimenti, i consacrati e le consacrate, tutte le forme di carità spicciola, sollecita, quotidiana che pervadono città e paesi sono le forme che la missione della Chiesa ha assunto a Milano. Ci piacerebbe essere riconosciuti, ci sembra legittimo sperare di sentirci alleati con tutte le istituzioni del territorio. Possiamo dire con fierezza che non ci siamo mai tirati indietro: in ogni emergenza, in ogni quotidianità, in ogni normalità e in ogni situazione estrema i preti, i diaconi, i fedeli laici, i consacrati e le consacrate sono stati là, come una casa accogliente, come una porta alla quale bussare a tutte le ore, come una compassione indiscriminata per ogni bisogno, per ogni lacrima, come uno spazio aperto per ogni festa, per ogni convenire, per ogni sogno.
I membri della Terra esistenziale della Cittadinanza Il Vicario Territoriale don Mario Carminati


















