Omelia del funerale Crotti Stefania
Lunedì 28 gennaio 2019 al funerale della povera Stefania Crotti, il parroco di Gorlago, don Giovanni Locatelli, pronunciava questa omelia. La riportiamo ringraziandolo per la gentile concessione, perché può farci molto bene ogni volta che la meditiamo.
Ci siamo ritrovati, oggi, tutti accompagnati da una grande sofferenza nel cuore.
La grande sofferenza che intuiamo in voi, familiari di Stefania.
La grande sofferenza dei bambini coinvolti, loro malgrado, in questa vicenda.
La sofferenza delle istituzioni, del mondo della scuola, delle diverse associazioni.
La sofferenza della nostra intera comunità cristiana che ha sperimentato come il male è capace di annidarsi dentro il nostro cuore.
Dovunque guardiamo e da qualsiasi angolatura osserviamo questa vicenda vediamo della sofferenza.
Qui nessuno esce indenne.
Tutti stiamo soffrendo e tutti stiamo pagando le conseguenze del male quando questo abita nell’animo e quando ispira le azioni umane.
In questi giorni, con questi sentimenti del cuore, siamo testimoni del male che è solo capace di generare sofferenza.
Con questi sentimenti sappiamo però che non siamo qui perché vogliamo chiedere vendetta: al male vogliamo dire basta, di persone che soffrono ce ne sono già tante.
Non siamo qui nemmeno per chiedere giustizia perché: sappiamo che della giustizia terrena qualcuno se ne sta occupando e se ne occuperà. Non tocca a noi.
Sappiamo anche di una giustizia divina e che Dio che è “giusto” saprà meglio di noi occuparsi di chi ha sbagliato.
Siamo qui perché, oggi, più che mai, con le nostre ferite ci sentiamo persone fragili.
Spesso, certi episodi di violenza siamo abituati a pensarli lontani e invece constatiamo che sono partiti da dentro di noi, dentro la nostra comunità.
Spesso preferiamo pensare che certi episodi di violenza partono da situazioni che sono già di disagio. Disagio che preannuncia l’uso della violenza. Invece qui tutto è stato generato nella normalità della vita della nostra comunità.
A volte ci rifugiamo dietro l’alibi del motivo religioso, dove un individuo in nome della fede colpisce chi ha un credo diverso. Qui non è così: un battezzato ha alzato la mano contro un altro battezzato. Un figlio di Dio ha alzato la mano contro un figlio di Dio.
Tutto questo, ci fa male.
Al dolore si aggiunge il dolore di quanto siamo fragili.
Comprendiamo chiaramente quando facciamo del male non facciamo altro che causare dolore.
E da qui vogliamo ripartire.
Di dolore ce ne già troppo.
Comprendiamo che solo se andiamo nella direzione del bene potremo interrompere la catena della sofferenza.
Nel vangelo abbiamo ascoltato le parole di Gesù che dicono “Io sono la via, la verità e la vita” In Gesù troviamo rivelata la grandezza della bontà di Dio e solo lasciandoci raggiungere e toccare nel profondo potremo risanare il nostro modo di pensare, di parlare e di agire.
I ragazzi e le nuove generazioni in generale, e penso soprattutto a quelli delle nostre famiglie e della nostra comunità, hanno bisogno più che mai, a partire a questo fatto, di adulti che sappiano pensare bene, parlare bene e agire bene.
Hanno bisogno di vedere e credere che è possibile scrivere parole di bene e favorire gesti che avvicinano e contribuiscono al bene della nostra comunità.
Tutti stiamo soffrendo, Tutti ci sentiamo fragili.
Tutti, però, siamo raggiunti da questa parola di vicinanza di Dio.
Tutti siamo chiamati a fare la nostra parte.
Già in questi giorni abbiamo visto spuntare qualcosa in questo giardino della sofferenza.
Penso a voi familiari: un dolore che non si è elevato a richiesta di condanna.
E questo è già il bene che germoglia.
Penso alle tante persone presenti nei nostri gruppi, nei movimenti e nelle istituzioni che hanno cominciato a dare il meglio di sé mettendosi a servizio dei bisogni del momento.
E questo è già il bene che fiorisce.
E poi, quanta preghiera in questi giorni.
Una preghiera che non ci ha fatto andare davanti al Signore a chiedere, ma semplicemente per affidare tutte le persone coinvolte, le loro storie e le loro sofferenze.
E anche questo è chiedere al Signore di irrigare ciò che di bene vogliamo far nascere.
Non abbiamo risposte alle tante domande e dubbi che abbiamo nel cuore ma sentiamo che al Signore ci possiamo affidare e a lui affidare ciò che a noi sembra troppo pesante.
E’ vero, non sappiamo cosa fare e cosa dire: la fragilità si accompagna all’incertezza sul futuro.
Ma abbiamo cominciato ad esserci e ad esserci vogliamo continuare. Continuare con la nostra disponibilità e il nostro contributo.
Continuare il cammino fraterno di coloro che abitano, vivono e credono in questa nostra comunità di Gorlago.
Ci aspettano giorni non facili.
Quante cose ci ricorderanno questa vicenda.
E sarà così per molto tempo.
Probabilmente sarebbe pure sbagliato dimenticare.
La liturgia che stiamo vivendo ora ci ricorda che Stefania è già nelle braccia premurose del Padre.
E’ già in quella pienezza di vita che Gesù nel Vangelo ha annunciato.
Lì il male non c’è più. Lì, nelle braccia del Padre, non ci sono mani che percuotono e che feriscono ma mani che accolgono e accarezzano.
Affidiamola a Lui. A queste mani.
Affidiamola non per dimenticarla.
Affidiamola affinché interceda per la nostra comunità che ha tanto bisogno dire basta a quel male che ha tolto Stefania all’affetto dei sui cari e a tutti noi.
Affidiamola con l’auspicio che anche le nostre mani sappiano imparare a prenderci cura gli degli altri.


















