Anche in questa situazione piena di rovi, sassi, veleni, paure, il terreno darà frutto buono. Il seminatore uscì a seminare.
Gesù immagina la storia, il creato, il regno come una grande semina: è tutto un seminare, un volare di grano nel vento, nella terra, nel cuore.
È tutto un germinare, un attecchire, un maturare.
Il seminatore, che può sembrare sprovveduto perché parte del seme cade su sassi e rovi e strada, è colui che abbraccia l’imperfezione del campo del mondo, e nessuno è discriminato, nessuno escluso dalla semina divina.
Siamo tutti duri, spinosi, feriti, opachi, eppure la nostra umanità imperfetta è anche una zolla di terra buona, sempre adatta a dare vita ai semi di Dio.
Si tratta di un seminatore fiducioso, la cui fiducia alla fine non viene tradita: e diede frutto. Fino al cento per uno. L’etica evangelica non cerca campi perfetti, ma fecondi.
Troppo spesso guardiamo le asperità, i sassi, la non coltivabilità delle vicende umane.
Ci scoraggiamo e diventiamo aridi. Rinunciamo perfino a seminare il bene.
Lo sguardo del Signore non si posa sui miei difetti, su sassi o rovi, ma sulla potenza della Parola che rovescia le zolle sassose, si cura dei germogli nuovi e si
ribella a tutte le sterilità.
E farà di me terra buona, terra madre, culla accogliente di germi divini. Gesù racconta la bellezza di un Dio che non viene come mietitore delle nostre poche messi, ma come il seminatore infaticabile. E imparerò da lui a non aver bisogno di raccolti, ma di grandi campi da seminare insieme, e di un cuore non derubato; ho bisogno del Dio seminatore, che le mie aridità non stancano mai.
(ispirato alla riflessione di Ermes Ronchi)


















