Camminando si fa il “Cammino”

“Circa un anno fa ho iniziato ad interessarmi al Cammino di Santiago, un itinerario antichissimo percorso da diversi secoli da milioni di pellegrini spinti da motivi religiosi e spirituali ma, soprattutto negli ultimi anni, anche da interessi culturali e turistici.
Il desiderio di fare questa esperienza in me è nato un po’ come una sfida personale: avvertivo una spinta, una voce interna e il desiderio di agire, di mettermi in movimento.
Inoltre il racconto di alcune esperienze vissute sul Cammino da alcuni miei amici e conoscenti e la visione del film ‘the Way’ di Emilio Estevez hanno aumentato ancor di più la mia voglia di partire.
Così quest’estate ho deciso di percorrere una parte del cammino con altre sette ragazze.

Breve storia di Santiago e del Cammino
Nel IX secolo, nel Nord della Spagna Pelagio, un eremita, ebbe una visione in cui gli apparvero delle stelle che cadevano a pioggia su di un campo. L’eremita avvertì dell’accaduto il vescovo Teodomiro, il quale, accorso sul posto, scoprì una tomba contenente le spoglie che vengono attribuite a Giacomo di Zebedeo, detto anche ‘il Maggiore’. La città di Santiago prese così il nome dall’apostolo e tradizionalmente dal “Campo di stelle” della visione di Pelagio e iniziò fin dai primi secoli ad accogliere i pellegrini.
Sono parecchi gli itinerari che portano a Santiago; noi abbiamo compiuto una parte del “cammino francese”, il più conosciuto e frequentato: lungo 800 km, nasce sul confine franco-spagnolo, più precisamente nei Pirenei.
Anche se il mio desiderio era percorrere tutto il cammino, ne abbiamo percorso solo un pezzo, da Astorga, una cittadina situata nella Comunità Autonoma di Castiglia-León. Tempo previsto: 10 giorni con una media di 25 km al giorno.

Diario di viaggio
Lungo il cammino la giornata iniziava verso le sei del mattino sia per affrontare la camminata nelle ore più fresche sia per arrivare tra i primi all’albergue il pomeriggio in modo da assicurarsi un posto (cosa che d’estate, dato il grande numero di pellegrini, non è scontata). Poi per tutta la mattina cammini, cammini e cammini. All’inizio vorresti pensare ma sei così totalmente immerso nella strada da ritenere che è presto per riflettere, che magari dopo colazione o dopo i primi dieci chilometri, penserai. Ti dici: “Cavolo, sei venuta fino qua per pensare, per capire, per meditare.
Concentrati un po’!”. Riesci però a pensare solo a ciò che ti circonda: all’aria fresca, alla luce, al tuo ritmo, al tuo respiro, alle frecce gialle che ti indicano la strada, ai canti degli uccelli, alle immense distese di campi di grano e di vite, al silenzio… Quel silenzio a cui noi, nella vita di tutti i giorni, non siamo abituati e di cui abbiamo un po’ paura. I primi giorni dopo alcune ore di cammino tiravo fuori l’ipod e ascoltavo la musica. Poi però ho provato a resistere, a lasciare da parte l’ipod e a camminare in silenzio; mi guardavo intorno e ascoltavo. Molto spesso mi capitava di incontrare qualcuno con cui iniziavo a fare un pezzo di strada o che semplicemente salutavo augurando ‘Buen Camino’. A volte però mi capitava di essere talmente stanca che il cervello si svuotava e lasciava spazio solo a pensieri come: “quanti chilometri mancano? Mangio un pezzo di cioccolato adesso o aspetto dopo la curva? Mi riposo dopo la salita o sfrutto subito questa panchina? Questo dolore alle spalle e alle gambe mi passerà?” Si, il cammino è anche dolore e fatica. Per me è stato il peso dello zaino. Nonostante avessi portato solo il minimo indispensabile, era comunque pesante. Camminare tante ore al giorno con 10 kg sulle spalle è stato davvero impegnativo. Ma anche i dolori, che colpiscono tutti i pellegrini, dai più giovani ai più anziani, contribuiscono al clima di solidarietà, di condivisione, di pace, di serenità e di accoglienza che si respira lungo la strada. Non sono rari infatti i momenti in cui
condividi con qualcuno cerotti per le vesciche o altri medicinali, un sorriso, uno sguardo, una chiacchierata o una semplice brioches.
Nel primo pomeriggio arrivavamo alla meta, all’albergue (l’ostello per i pellegrini). Dopo la registrazione e il timbro sulla credencial (il documento ufficiale che identifica il pellegrino e che permette di poter essere ospitati per una notte, nei vari albergue) arrivava il momento per riposare, fare la doccia, lavare i vestiti, fare la spesa e eventualmente cucinare qualcosa se non si aveva ancora mangiato, leggere, scrivere, andare alla messa per i pellegrini e visitare il paese.

La destinazione è vicina!
Più si avvicinava la meta, più cresceva in me, come in tutti i pellegrini, la voglia di raggiugere la meta. Il giorno dell’arrivo ho provato sentimenti diversi: sorpresa, stanchezza, nostalgia gioia e anche un po’ di delusione.
Gioia perché avevo raggiunto la meta e quindi avevo ‘vinto’ la sfida che mi ero posta. Delusione perché, avendo camminato per diversi giorni, mi aspettavo di giungere in luogo quasi paradisiaco, in cui regnasse la pace e la preghiera. Mi sono ritrovata invece in una città caotica e turistica che con il suo chiasso e la sua turbolenza sembrava travolgere i pellegrini.
A Santiago ho ritirato la “Compostela”, un documento in lingua latina che certifica il proprio cammino. Anche se penso di non essermela guadagnata pienamente, non avendo compiuto il cammino dall’inizio, è stata una bella soddisfazione.
Proprio in quella città, ho compreso che la vera meta non era la città che avevo raggiunto ma la strada che avevo compiuto. Ho capito anche che il cammino non era finito, anzi, riiniziava proprio in quel momento, nella vita di tutti i giorni, nella quotidianità, con una nuova consapevolezza, con un cuore e uno spirito che si erano alleggeriti di tutte le inutilità che tendiamo a classificare come priorità.
Non ero ancora tornata che già era nato in me il desiderio di mettermi in cammino di nuovo… verso Roma lungo la via Francigena, verso Assisi o Gerusalemme, forse di nuovo verso Santiago… Ma stavolta da sola e dall’inizio.

Laura Cavenati