Nel disorientamento che proviamo mentre ci chiediamo dove siamo e quale direzione prendere, nella terra troviamo la speranza per il domani. Questo senso di fiducia nel futuro si amplifica, da un lato, nella gratitudine per il Creato ma, dall’altro, viene adombrato dalla preoccupazione crescente per uno sfruttamento che mette a rischio l’agricoltura e la vita delle persone. La creazione è il dono.
Dobbiamo ringraziare per quanto abbiamo ereditato e comprendere quanto questo sia prezioso, soprattutto di fronte agli effetti drammatici della crisi ecologica.
La gratitudine, infatti, deve trasformarsi in impegno, in progettualità, in azioni concrete se vogliamo evitare che i paesaggi diventino un lontano ricordo di quello che sono stati e i territori dei frammenti, residuo dello scarto e dell’abbandono. Solo salvaguardando il terreno e, insieme, le attività agricole e gli agricoltori, può essere perseguito un uso dinamico ma sostenibile che limiti il consumo e lo spreco di territorio e, allo stesso tempo, tuteli le produzioni alimentari e la biodiversità. Il rinnovamento degli stili di vita è una via possibile e percorribile per supportare le politiche ambientali e ri-orientare l’economia nel segno della sostenibilità e della giustizia.
L’agricoltura deve mantenere le sue basi ecologiche, che non ha mai dimenticato, ma che rischia di smarrire se insegue il paradigma tecnocratico, che porta alla ricerca di un modello di produzione volto solo alla massimizzazione del profitto. Nella cultura agricola, invece, la terra è sempre stata considerata preziosa, tanto che veniva utilizzata con cura, senza mai essere impoverita pregiudicandone l’uso futuro.
I suoi frutti sono sempre stati destinati a tutti, favorendo la giustizia sociale, con un regime inclusivo delle pratiche agronomiche autoproduttive e forme di scambio improntate a criteri di reciprocità e solidarietà. Questo patrimonio di attenzioni e di tradizione non può essere dissipato. È tempo di fermare il consumo del suolo, in particolare quello agricolo, che va destinato alla produzione di cibo. Le innovazioni, culturali e sociali, possono aiutarci a ricostruire legami con un’identità rurale che può favorire una maggiore consapevolezza dell’importanza dell’ecologia integrale. Solo così sarà possibile dimorare sulla terra, trovando l’equilibrio tra uomo e natura e rilanciando la centralità dell’essere custodi del Creato e dei fratelli. È tempo di coinvolgere le nuove generazioni nella cura della terra indirizzando a un diverso modello economico, riducendo sprechi e consumi, riscoprendo le potenzialità delle comunità locali e salvaguardando le conoscenze tradizionali, riconoscendo il giusto compenso ai produttori e raddrizzando le distorsioni dei sussidi. Troppo spesso gli imprenditori agricoli non sono stati percepiti come una risorsa indispensabile per la produzione di cibo sano, disponibile per tutti e di qualità.
Mentre non possiamo non riconoscere gli elementi di verità esistenti nelle denunce di insostenibilità ambientale e sociale di tanta agricoltura industriale (non per nulla definita agrobusiness), auspichiamo che si promuovano politiche nazionali ed europee che ripropongano corrette riforme agrarie, adeguato riconoscimento economico del lavoro agricolo e del valore dei prodotti agricoli, riduzione degli sprechi dal campo alla tavola, valorizzazione dell’agricoltura familiare. Occorre fare rete e integrare, per combattere la dispersione delle comunità, soprattutto di quelle interne del nostro Paese, e dell’ambiente da cui proviene sostentamento e salute per tutti.
Commissione Episcopale
per i problemi sociali e il lavoro, la giustizia e la pace


















